La cronaca spesso si limita a riportare l’immediatezza degli eventi, senza seguire il loro sviluppo nei tribunali. È invece nel processo che la giustizia tenta di fornire spiegazioni e risposte, anche se con mesi di ritardo. Ripercorriamo l’intera vicenda fino al momento in cui è stata emessa la sentenza.
Nella notte del 6 maggio 2024, a Mariano Comense, un uomo, mosso da gelosia, ha aggredito la sua compagna nell’abitazione condivisa. L’ha colpita con pugni e con tredici fendenti al torace e al braccio, causando ferite gravissime. Solo l’intervento tempestivo di un parente e di un vicino ha impedito il peggio, mentre l’aggressore ha dato fuoco a una valigia e ha tentato di aggredire anche i soccorritori prima di fuggire con la borsa della donna.
Il ruolo dei carabinieri è stato decisivo: poche ore dopo, hanno rintracciato l’uomo a piedi per le vie di Mariano e, seguendo le sue indicazioni, hanno recuperato il coltello utilizzato durante l’aggressione. Sul luogo sono intervenuti anche i vigili del fuoco e il personale del 118.
Il 29 maggio 2025, il tribunale di Como ha pronunciato la sentenza: otto anni di reclusione per tentato omicidio aggravato, rapina, incendio e lesioni aggravate.
Con la pubblicazione delle motivazioni, il 26 agosto 2025, i giudici hanno spiegato che le coltellate erano rivolte a zone vitali, tali da poter causare la morte, denotando un intento omicida almeno in modo alternativo. Le testimonianze di vittima e testimoni sono state riconosciute come pienamente credibili, mentre le dichiarazioni dell’imputato, che aveva parlato di un incidente e di ubriachezza, sono state giudicate incoerenti e volte a ridurre la propria responsabilità.
La sentenza comprende anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e una provvisionale di 50 mila euro a favore della vittima. Un esito che pone fine a un caso drammatico e sottolinea l’importanza di raccontare non solo gli atti di violenza, ma anche le risposte offerte dalla giustizia. La pubblica accusa, rappresentata dal pm Giulia Ometto, aveva richiesto una pena di 18 anni, ma il giudice, considerando le attenuanti generiche e il rito abbreviato, ha stabilito una condanna a otto anni di carcere.